
Il Massiccio del Matese, che si estende nell’Appennino centro – meridionale, a cavallo tra il Molise e la Campania, è un massiccio di origine carsica, pertanto fatto in prevalenza di calcare, come il prezioso marmo di Carrara, ma per formazioni geologiche completamente diverse da quello.
Il Biondo nella prima metà del XV secolo, nella sua “Italia Illustrata”, così descriveva il Matese: “Il Matese, promontorio degli Appennini, superbo si eleva e si distende verso il Mediterraneo, … molto sterile e roccioso fu il monte su cui abitarono i primi forti Sanniti.”
E chi lo vive o lo ha vissuto sa che è tutt’ora esattamente così. La roccia lo conforma e ci circonda, proteggendoci le spalle, quando il nostro sguardo si volge verso il mare.
Chiunque se ne intenda un minimo di geologia, anche solo per sentito dire, sa che il calcare è annoverato tra le rocce più tenere e lavorabili tra tutte quelle presenti sul pianeta.
Ma provate a chiederlo a Stolu cosa ne pensa?
Luigi Stocchetti, in arte Stolu, plasma il calcare del Matese, come da sempre fa l’acqua. E’ per questo che mi piace definirlo lo “Scultore del Matese”. Del Matese, infatti, egli plasma il materiale, ma ne traduce anche i caratteri delle persone, le peculiarità della storia, e le sfumature delle caratteristiche geografiche.
La sua scultura è a mio avviso a cavallo tra espressionismo, cubismo e astrattismo, senza per questo essere retrograda e superata. In particolare, le figure umane, numerose nella produzione artistica dello scultore, ricordano per certi versi le figure dei pittori espressionisti tedeschi, e in alcuni particolari, delle ricerche di Picasso o altri cubisti sulle figure femminili. Mi riferisco in particolare alla scomposizione nella quarta dimensione, che siamo forse maggiormente abituati a considerare per la pittura, ma che caratterizza anche alcune opere scultoree più o meno note, e che sicuramente riguarda le sculture di Stolu.
Per comprenderle fino in fondo bisogna guardarle da tutti i lati, non hanno un verso, o forse è più corretto dire che ogni verso racconta una parte e contribuisce alla comprensione generale dell’opera.
Stolu ha un laboratorio a cielo aperto, in un angolo di paradiso del Matese, in aperta campagna, subito a sud del centro abitato di Letino. Quando scolpisce la pietra che tiene tra le mani è la stessa che ha davanti a se e tutt’intorno, quella plasmata dal tempo, altro sapiente scultore.
Ho visitato numerose volte questo suo laboratorio che è al tempo stesso un “campo” disseminato di sculture, che si ergono fiere sul prato, con i monti del Matese che si stagliano all’orizzonte, per poter portare con me un po’ della sua arte, ma anche solo per confrontarmi con lui, e ogni volta mi ha colpito la quantità e la qualità della produzione, mai uguale a se stessa e sempre alla ricerca di nuove direzioni.
Allego volentieri al post il link ad un’interessante intervista che lo scultore ha rilasciato un po’ di tempo fa, che aggiunge a questo mio pensiero alcune notizie biografiche sull’artista e approfondisce alcuni aspetti della sua opera.
A chiunque dovesse capitare dalle parti di Letino consiglio invece di andare a vedere di persona il luogo in cui Stolu lavora. A segnare il percorso, a prescindere da dove si arrivi, si troveranno ovunque le sue opere, nei luoghi pubblici dei paesi arroccati sul Matese o disseminate nei giardini privati, a denunciare l’appartenenza a un luogo e la dedizione all’arte che lo rappresenta.
In foto, il profilo del Matese scolpito da Stolu, Agosto 2010
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