martedì 22 febbraio 2011

Villa Menotti a Cadegliano Viconago


La Villa Menotti è una delle ville storiche del Comune di Cadegliano Viconago. Si tratta di una serie di edifici costruiti a partire dal 1850, in un’epoca nella quale il tema della dimora signorile iniziava a perdere di vigore. Le ville di Cadegliano meritano un attento esame perché costituiscono un fenomeno esemplare del modo di organizzare il territorio nelle colline dell’alto varesotto.
Si tratta, infatti, di un intero paese caratterizzato dalla presenza di un numero considerevole di ville con parchi e giardini di una certa importanza, la cui genesi va ricercata in un substrato sociale e un aggancio alla tradizione di estremo interesse.
Dalla presenza di così numerosi parchi e giardini in un agglomerato residenziale di scarsa importanza, emerge l’alto interesse ambientale del complesso, ancor più accentuato dalla felice posizione naturale. Cadegliano infatti si colloca in una conca verdeggiante con esposizione Nord – Est che domina un ramo del Lago Ceresio (Lago di Lugano).
Nella prima metà del XIX secolo il paese ha vissuto un’infelice condizione economica che ha favorito l’emigrazione di molti abitanti nelle grandi città italiane, ma anche in Europa e in America. Al ritorno da questo periodo di emigrazione, forti della tradizione di maestri muratori, molti si dedicarono alla costruzione della casa.
In questo ambito si colloca la personalità più rappresentativa che fu quella di Giorgio Pellini, architetto della Villa Menotti.
Giorgio Pellini ( morto a Cadegliano nel 1874 ) lavorò a Milano a fianco dei maggiori architetti eclettici dell’epoca e tornato a Cadegliano, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, quando gli toccò personalmente il ruolo di progettista non si lasciò prendere la mano dall’imitazione dei troppo facili modi utilizzati dall’architettura ufficiale, ma si ricollegò alla tradizione locale della casa agricola a logge che, soprattutto nell’alto varesotto, si era definita secondo uno schema ben preciso. Il suo è un modo di procedere nel grande filone dello storicismo ottocentesco che evidentemente assume la tradizione in termini assolutamente vivi ed originali .
A Cadegliano è autore della Chiesa di Santa Maria, di Villa Pellini (1850), di Villa Pellini Pelegatta (1860) e di Villa Menotti (1870).
Anche nella Villa Menotti, il gusto eclettico compare accanto agli schemi derivati dalla tradizione locale. Pur mantenendo in parte sul prospetto principale lo schema tripartito di tipo tradizionale, Villa Menotti se ne discosta decisamente, poiché utilizza il porticato solo al piano terreno. Nei piani superiori è conservata la triplice partitura della zona centrale, ottenuta col sapiente uso di lesene e cornici, ma la loggia scompare, per fare posto alle tradizionali finestre, con poggiolo centrale.
Anche se planimetricamente la casa è limitata al tradizionale rettangolo, ha indubbiamente una complessità paesistica connessa con l’ampio parco che la circonda, suggerito dal dislivello naturale che lo caratterizza.
Rispetto alle altre ville del paese, contiene già alcune anticipazioni dei caratteri delle costruzioni liberty, e si articola su tre livelli fuori terra e un livello interrato.
La villa è stata commissionata a Giorgio Pellini dal facoltoso Alfonso Menotti, padre del compositore e librettista Gian Carlo Menotti (Cadegliano-Viconago, 7 luglio 1911 – Monte Carlo, 1º febbraio 2007), ultimo membro della famiglia a conservare l’intera proprietà della villa, fino agli anni ’50 del Novecento. Giancarlo si trasferì giovanissimo (nel 1921) negli Stati Uniti, e tornava a Cadegliano solo in vacanza, con il compositore americano Samuel Barber.
La posizione della villa è dominante rispetto allo scorcio di paese in cui sorge. Il parco della Villa Menotti è caratterizzato dalla presenza di numerosi alberi, sempreverdi e a foglia caduca, alcuni dei quali piantati in occasione della fondazione dell’edificio, quindi esemplari ormai ultracentenari. Durante gli anni, alcuni alberi sono poi stati sostituiti o aggiunti, soprattutto per quello che riguarda specie esotiche o comunque non autoctone.
All’interno del parco, che si estende attualmente in una superficie non superiore ai 3000 mq, mentre in origine era molto più vasto (l'estensione originaria del parco, quando la proprietà era indivisa, arrivava a circa 20.000 mq), si trova anche una sorgente.
Attualmente la villa è suddivisa in alcuni appartamenti ed ospita la sede della notissima compagnia teatrale Teatro Blu, diretta da Silvia Priori.
Quest’anno, dal 7 al 10 luglio, la villa sarà sede di un festival organizzato dalla compagnia per festeggiare l’occasione del 100° anniversario dalla nascita di Gian Carlo Menotti, per il quale la compagnia presenta anche una nuova produzione a lui dedicata. Sarà sicuramente un’ottima occasione per ammirare la villa e il parco, ancora meravigliosi, nonostante le insidie del tempo che imporrebbero un intervento conservativo immediato.

Bibliografia:
“Ville delle province di Como, Sondrio e Varese : Lombardia 2”, Santino Lange'. – Milano, SISAR, stampa 1968. - 411 p. : ill. ; 32 cm

sabato 12 febbraio 2011

Il Quarto Stato ha una nuova casa


Nello scorso mese di dicembre è stato inaugurato a Milano, presso il Palazzo dell’Arengario, il Museo del Novecento. In quest’occasione il dipinto de “Il Quarto Stato” (1901) di Pellizza da Volpedo, è stato trasferito in questa nuova sede, dalla Galleria d’Arte Moderna di Villa Reale.
Viste le dimensioni notevoli del dipinto, il trasloco è stata impresa tutt’altro che semplice e ha coinvolto un certo numero di persone per una giornata intera di lavoro, se si escludono le fasi preliminari e organizzative della movimentazione.
Oltre ad ospitare il famoso quadro, sicuramente predestinato simbolo della casa del Novecento, il museo del capoluogo lombardo ospita tantissime altre opere d’arte di rilievo, dei più grandi artisti del Novecento, da Boccioni a Balla, da Fontana a De Chirico, attraverso Manzoni, Sironi, Carrà, Guttuso, fino ai più noti artisti stranieri, da Picasso a Klee, da Braque a Matisse, solo per citarne alcuni.
La visita al museo parte proprio da “Il Quarto Stato”, magistralmente collocato sulla rampa elicoidale realizzata al centro dell’Arengario e attraversa l’arte del XX secolo.
La storia del quadro di Pellizza da Volpedo è controversa, come quella di ogni grande opera che si rispetti. Lo sciopero dei contadini piemontesi: un soggetto moderno per gli anni in cui veniva dipinto, veniva presentato a Torino senza riscontrare successo ma, acquistato da una sottoscrizione pubblica da parte di Milano, è sempre di fatto stato esposto nella città lombarda.
L’Arengario, costruito negli anni ’50 del secolo scorso su progetto di Portaluppi, Muzio, Magistretti e Griffini, è stato restaurato a partire dall’inizio del 2009, per ospitare il Museo del Novecento. Il progetto del nuovo museo porta la firma di Italo Rota e Fabio Fornasari.
Il rinnovamento dell’edificio ha rappresentato anche una vincente occasione di ricerca di dialogo tra l’edificio stesso e la città, che appare bellissima dalle ampie vetrate dell’Arengario, che danno sulla Piazza del Duomo e dalla quale è possibile ammirare la sempre bellissima Torre Velasca. Inoltre, il museo ha un collegamento diretto con la stazione della metropolitana, che lo colloca a maggior ragione nell’ambito di una scelta di promozione della città e dell’arte, e soprattutto di dialogo tra la città e l’arte.
Gli architetti che hanno progettato la trasformazione dell’edificio hanno dovuto coniugare il difficile compito di ottimizzare gli spazi per ospitare una così corposa collezione con quello di restituire all’edificio un’immagine forte, viva e seducente, che peraltro aveva già posseduto in passato.
Il Museo del Novecento sembra destinato a diventare uno dei luoghi privilegiati della cultura e dell’arte a Milano, finalmente in grado di competere con le recenti gallerie d’arte fiorite nelle principali città d’Italia, si pensi, ad esempio, al recentissimo Maxxi di Roma.
Il Museo del Novecento aspetta quindi solo di essere percorso e apprezzato, oltretutto gratis, fino al 28 Febbraio.

domenica 6 febbraio 2011

Stolu, lo scultore del Matese


Il Massiccio del Matese, che si estende nell’Appennino centro – meridionale, a cavallo tra il Molise e la Campania, è un massiccio di origine carsica, pertanto fatto in prevalenza di calcare, come il prezioso marmo di Carrara, ma per formazioni geologiche completamente diverse da quello.
Il Biondo nella prima metà del XV secolo, nella sua “Italia Illustrata”, così descriveva il Matese: “Il Matese, promontorio degli Appennini, superbo si eleva e si distende verso il Mediterraneo, … molto sterile e roccioso fu il monte su cui abitarono i primi forti Sanniti.”
E chi lo vive o lo ha vissuto sa che è tutt’ora esattamente così. La roccia lo conforma e ci circonda, proteggendoci le spalle, quando il nostro sguardo si volge verso il mare.
Chiunque se ne intenda un minimo di geologia, anche solo per sentito dire, sa che il calcare è annoverato tra le rocce più tenere e lavorabili tra tutte quelle presenti sul pianeta.
Ma provate a chiederlo a Stolu cosa ne pensa?
Luigi Stocchetti, in arte Stolu, plasma il calcare del Matese, come da sempre fa l’acqua. E’ per questo che mi piace definirlo lo “Scultore del Matese”. Del Matese, infatti, egli plasma il materiale, ma ne traduce anche i caratteri delle persone, le peculiarità della storia, e le sfumature delle caratteristiche geografiche.
La sua scultura è a mio avviso a cavallo tra espressionismo, cubismo e astrattismo, senza per questo essere retrograda e superata. In particolare, le figure umane, numerose nella produzione artistica dello scultore, ricordano per certi versi le figure dei pittori espressionisti tedeschi, e in alcuni particolari, delle ricerche di Picasso o altri cubisti sulle figure femminili. Mi riferisco in particolare alla scomposizione nella quarta dimensione, che siamo forse maggiormente abituati a considerare per la pittura, ma che caratterizza anche alcune opere scultoree più o meno note, e che sicuramente riguarda le sculture di Stolu.
Per comprenderle fino in fondo bisogna guardarle da tutti i lati, non hanno un verso, o forse è più corretto dire che ogni verso racconta una parte e contribuisce alla comprensione generale dell’opera.
Stolu ha un laboratorio a cielo aperto, in un angolo di paradiso del Matese, in aperta campagna, subito a sud del centro abitato di Letino. Quando scolpisce la pietra che tiene tra le mani è la stessa che ha davanti a se e tutt’intorno, quella plasmata dal tempo, altro sapiente scultore.
Ho visitato numerose volte questo suo laboratorio che è al tempo stesso un “campo” disseminato di sculture, che si ergono fiere sul prato, con i monti del Matese che si stagliano all’orizzonte, per poter portare con me un po’ della sua arte, ma anche solo per confrontarmi con lui, e ogni volta mi ha colpito la quantità e la qualità della produzione, mai uguale a se stessa e sempre alla ricerca di nuove direzioni.
Allego volentieri al post il link ad un’interessante intervista che lo scultore ha rilasciato un po’ di tempo fa, che aggiunge a questo mio pensiero alcune notizie biografiche sull’artista e approfondisce alcuni aspetti della sua opera.
A chiunque dovesse capitare dalle parti di Letino consiglio invece di andare a vedere di persona il luogo in cui Stolu lavora. A segnare il percorso, a prescindere da dove si arrivi, si troveranno ovunque le sue opere, nei luoghi pubblici dei paesi arroccati sul Matese o disseminate nei giardini privati, a denunciare l’appartenenza a un luogo e la dedizione all’arte che lo rappresenta.

In foto, il profilo del Matese scolpito da Stolu, Agosto 2010

venerdì 4 febbraio 2011

L'arte, in tutte le sue sfumature

Questo blog si occupa di indagare e raccontare tutte le sfaccettature dell’arte e delle sue espressioni, attraverso la pubblicazione delle novità e delle curiosità ad essa connesse, oltre che della sua storia. Verranno divulgate notizie riguardo eventi in corso o in programmazione, pubblicazioni di particolare interesse, indagini sulle tematiche dell’arte e esperienze personali provenienti dalla realtà professionale in cui opero.
Particolare spazio sarà affidato agli eventi e alle notizie (presenti o storiche) che riguardano la mia terra d’origine (il Matese), il luogo in cui vivo (il Varesotto) e tutti i luoghi con cui nel corso del tempo mi confronterò, procedendo quindi, preferibilmente, attraverso il lume della conoscenza diretta dei fatti raccontati.
Saranno, inoltre, pubblicate notizie riguardo concorsi, bandi, o lavori in corso, soprattutto nell’ambito dell’architettura.
La condivisione di queste tematiche ha l’obiettivo della loro diffusione e del confronto diretto con altri interlocutori interessati, con lo scopo di accrescere le mie conoscenze e di stuzzicare l’interesse degli altri su di esse.
Le sezioni in cui si articoleranno i post saranno: l’architettura, con tutte le sue declinazioni, la pittura, la scultura, il design, la fotografia, il paesaggio, il cinema e il teatro.

“L'arte non è una cosa di numeri e di compasso: è soggetta alle passioni, ai pregiudizi, alla voga del dì, alla influenza di alcune piccole circostanze estrinseche e materiali, e a due bisogni umani, che all'apparenza si contraddicono: il bisogno di stupirsi della novità e il bisogno di riposarsi nel consueto.” Camillo Boito