
Sono andata a vedere “This must be the place” il giorno in cui ho finito di leggere “Americana”, romanzo di esordio del grandioso Don DeLillo. Sarà pure una coincidenza, ma allora è fortunata.
Il film e il libro sono entrambi la narrazione spettacolare del sogno americano, della ricerca di se stessi e del viaggio di espiazione/redenzione attraverso le lande sterminate dell’America.
Cheyenne (uno Sean Penn da Oscar) è un uomo di successo, profondamente depresso, che si appiglia all’occasione sfortunata che lo porta in America, per compiere il suo viaggio di ricerca introspettiva attraverso i paesaggi sterminati di quel paese, le praterie, i distributori completamente deserti, i motel dalle nuance così scontate.
Vedere il film, avendo ancora così chiara nella mente la narrazione di DeLillo, è stato come se le parole venissero fuori dal libro e diventassero immagini a colori: come se il viaggio di Cheyenne fosse anche un po’ quello di David Bell, protagonista di Americana.
David lascia il suo posto da manager, e parte per un viaggio senza biglietto di ritorno, nell’America più lontana, quella più autentica e meno blasonata.
David Bell deve allontanarsi dalla sua quotidianità per ritrovarsi e per capire che quello che è diventato non è coincidente con quello che vorrebbe essere. Mentre Cheyenne deve rincorrere il passato del padre, per crescere, finalmente, e diventare uomo.
“Quella via era un luogo totalmente americano, monumento alla nostalgia collettiva: leggevamo ad alta voce le insegne dei negozi e guardavamo i fotogrammi patinati nelle bacheche fuori dai cinema. Nessuno ci conosceva e noi non ci conoscevamo.” Sono le parole di David, ma ci parlano anche di Cheyenne, la rock star figlia di uno spettacolare Sorrentino.
In sostanza, ci sono tutti gli stereotipi del mondo americano sia nel libro che nel film. Quello che non si riesce a credere è come nel film a raccontarceli così sapientemente sia stato un napoletano del Vomero!
Belli entrambi questi racconti, anche se alla fine lasciano con il sospetto di aver voluto raccontare troppo: troppe storie che si intrecciano, troppi personaggi e tutti troppo sfaccettati, e lasciano nella sensazione che forse di facce e di storie ne sarebbero bastate anche la metà, per entrare nelle viscere di questo paese.
E’ questo forse a rendere lenta la narrazione del viaggio di redenzione di David Bell e quello di crescita di Cheyenne. Ma quello che me li fa piacere così tanto è che alla fine tutti e due centrano l’obiettivo, e imboccano la strada che vogliamo vederli percorrere.
“L’America può essere salvata solo da ciò che cerca di distruggere.” Continuiamo a percorrere questo sogno americano, che seppur stereotipato, stropicciato, saturo di icone, troppo spesso privo di emozioni, conserva la sua eccezionalità. Solo così potremmo sperare che anche l’America, non più solo gli americani, possa partire per il suo viaggio di espiazione e introspezione, e perché no, anche ritrovarsi, e riscoprirsi così com’è “… il paese più strano, favoloso e pazzesco della storia.”
Riferimento bibliografico:
“Americana”, Don DeLillo, Einaudi, Torino 2008 (prima edizione americana 1971), traduzione italiana di Marco Pensante.
http://www.mymovies.it/film/2011/thismustbetheplace/ Trailer di “Must be the place”
http://www.wuz.it/archivio/cafeletterario.it/137/cafelib.htm Scheda di Americana.
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