giovedì 31 marzo 2011

A Montespertoli il teatro è di strada


Nel cuore del Chianti toscano, immerso nelle colline di Montespertoli (FI) ha sede la Compagnia “Cantiere Ikrea”, un'associazione che organizza e produce spettacoli e animazioni teatrali di strada, di circo contemporaneo e animazione di contatto riunendo clown, giocolieri, trampolieri, mangiafuoco, musicisti, educatori e attori. L'associazione promuove, in collaborazione con altre realtà del settore, o organizza in proprio, iniziative formative per artisti di strada, attori e per chiunque voglia avvicinarsi alle arti di strada, alle discipline acrobatiche o alla giocoleria.
Il primo nucleo IKREA nasce nel 1995 dall'incontro di personalità e professionalità diverse, che insieme iniziano a creare spettacoli per bambini, performances di strada e animazioni ispirate al mondo del circo.
Negli anni vengono utilizzate e migliorate le tecniche dei trampoli, della giocoleria, dell'acrobatica, dell'uso del fuoco, e vengono studiate e sperimentate tecniche del teatro di figura: le ombre, i pupazzi, le maschere, i giochi di luce, la musica e le sonorizzazioni dal vivo.
Il circo e l'arte di strada restano gli interessi vitali e primari di Cantiere Ikrea che organizza e partecipa a rassegne e stages di formazione con artisti internazionali, promuove e produce nuovi progetti e spettacoli adatti a spazio e pubblico più specificamente "teatrali".
Dai lavori più recenti sono nati molti personaggi e si è spontaneamente creata la piacevole consuetudine di creare interventi unici pensati per i luoghi e le persone.
I componenti della compagnia, guidati da sempre dalla Direzione Artistica di Luca Perrotta, provengono da esperienze diverse ma tutte percorse attraverso una formazione decennale negli ambiti in cui oggi manifestano la loro arte.
Nel corso degli anni ’90 le attività della compagnia si sono concentrate essenzialmente nella formazione, attraverso la frequenza e la partecipazione come docenza a corsi sulle tecniche di comunicazione e di educazione oltre che sul circo. In quegli anni la compagnia è attiva anche con il “Ludobus di Ikrea”, un autobus che realizza un circo itinerante che porta clowns e trampolieri in giro per la Toscana.
Negli anni la fama della compagnia è cresciuta, grazie anche alla partecipazione a numerosi e famosissimi festival in giro per l’Europa.
Ad esempio, nel 2006 Cantiere Ikrea ha partecipato con uno spettacolo di propria produzione “Babuska Love Match” al Carnevale du Mundo a Madrid. Nello stesso anno inizia anche un’esperienza che è ormai quasi una consuetudine, con la partecipazione al Festival Internazionale degli Artisti di Strada in Polonia, a cui la compagnia partecipa ormai tutti gli anni con spettacoli sempre rinnovati e successi notevoli di pubblico. Inoltre, Cantiere Ikrea è da sempre sensibile ai temi della sostenibilità ambientale e degli stili di vita critici, e lo dimostra anche con la partecipazione attiva, come partner, al Progetto Carovanando, finanziato da Cesvot, e promosso dall’Associazione fiorentina Il Villaggio dei Popoli, nella primavera del 2008, che ha avuto lo scopo di diffondere queste tematiche nei comuni della Provincia di Firenze, anche attraverso la magia dello spettacolo.
Pluriennale è, ormai la partecipazione all’ “Orange Elephant Festival”, di San Pietroburgo e quella al nostrano “Festival Fiabesque” che va in scena a Peccioli (PI) nel mese di gennaio.
Bisogna annotare anche la collaborazione alla fondazione e la consulenza al Jack & Joe Theatre di San Casciano Val di Pesa (FI), uno spazio in cui si sviluppano interessanti sperimentazioni nell’ambito del teatro, e dove Cantiere Ikrea ha intrapreso la proficua collaborazione con lo strepitoso artista russo Alexey Merkuschev, che tuttora prosegue e che accompagna la compagnia nelle rappresentazioni messe in scena in occasione dei festival russi.
Nel corso degli anni sono state molte le animazioni e gli spettacoli prodotti dalla compagnia Cantiere Ikrea, sia in autonomia che in collaborazione con altre compagnie e associazioni di artisti di strada, della Toscana e non solo. Gli spettacoli e le produzioni attuali derivano da quelle che si sono susseguite nel corso degli anni, arricchendosi di nuovi numeri, performances e attrazioni, oltre che con le cresciute abilità e professionalità della direzione artistica e dei membri della compagnia.
Tra le produzioni principali (che per i più curiosi sono ampiamente illustrate nel sito della compagnia): Circo ‘900, spettacolo ispirato al circo di strada dell’immediato dopoguerra; Infabula, performance di danza e commedia dell’arte, infervorata dalla magia dei trampoli e del fuoco, grazie alla preziosa collaborazione con l’artista siciliano Antonio Bonura; Zott, il fuoco che cammina, evoluzione della performance Infabula e dello spettacolo “Babuska Love Match”, con danzatori, esperti del fuoco e suggestioni musicali.

(La fotografia in alto è stata gentilmente condivisa da Luca Perrotta)

martedì 22 marzo 2011

Le Torelle, come sono




Le Torelle, com'erano






C'erano una volta le Torelle


Ai posteri non è dato conoscere la storia.
Nel Comune di San Potito Sannitico, in Provincia di Caserta, appena prima di entrare nel centro abitato, nella parte occidentale del paese, sorgeva fino a qualche anno fa un complesso di edifici di una bellezza e un’importanza storica e architettonica probabilmente senza simili, in tutto il territorio dell’Alto Casertano. Si tratta del Complesso Monumentale delle Torelle, un complesso architettonico, cresciuto su se stesso nel corso di dieci secoli di storia, e che ha visto la morte definitiva negli ultimi anni.
Le fonti storiche sul complesso architettonico sono molto discordanti e purtroppo lacunose. Negli archivi storici si fa fatica a ritrovare documenti che si riferiscano direttamente agli edifici che lo costituiscono, ma nei principali testi di storia locale compaiono differenti notizie.
Queste giungono essenzialmente all’interrogativo “Terme o Villa alle Torelle?”, che ha assillato anche uno dei maggiori storici locali, quali Domenico Loffreda. Ma il dott. Loffreda non è stato l’unico a interessarsi dell’edificio. Notizie sulle Torelle sono rintracciabili anche in uno dei più antichi testi di storia locale, quale quello del Trutta (Dissertazioni istoriche delle antichità alifane). Esso, per la sua monumentalità e le sue particolarità architettoniche ha sempre riscosso molto interesse, fin dall’antichità.
Le Torelle sono state oggetto di un “restauro” nel corso degli ultimi anni, che ha consentito di uscire dalla situazione di abbandono, che perdurava da quasi un secolo, e che lo aveva condotto allo stato di rudere, ovvero da quando il cimitero del paese è stato trasferito nella sua sede attuale.
Mi piacerebbe raccontarvi della nuova vita restituita a quelle pietre di 1000 anni, plasmate e consunte dal tempo, mi piacerebbe congratularmi con l’amministrazione locale e con gli enti preposti alla tutela degli edifici storici, ma purtroppo non può essere così.
Infatti, sotto gli occhi indifferenti o poco accorti di tutti, con il benestare del Comune, proprietario del bene, con il “nulla osta” della Soprintendenza ai Beni Architettonici e al Paesaggio, e con il contributo economico, tutt’altro che esiguo, elargito dalla Comunità Europea, l’edificio è stato completamente stravolto, tradito e violentato.
E’ un restauro quello condotto alle Torelle? Non può essere certamente definito tale.
Non si può infatti definire restauro un intervento che non tiene conto della natura del luogo, della consistenza materica dei manufatti, della loro conservazione e del rispetto per i secoli trascorsi.
Andando oggi alle Torelle si “ammira”, in tutto il suo “splendore” un nuovo edificio, in luogo del rudere che raccontava secoli di storia locale.
Alla comunità locale è stata estorta una porzione, la più ricca e la più antica, della propria storia, violentandone le radici, nel luogo della cultura religiosa e della memoria per eccellenza (le Torelle sono state a lungo il luogo della sepoltura degli abitanti di San Potito) e nessuno potrà più restituirla.
Il compenso di cui è stata decorata la comunità locale e la popolazione di tutto l’Alto Casertano è la sede, che probabilmente non entrerà mai in funzione, del “Museo del Brigantaggio”.
Mi prendo sempre la responsabilità di quello che dico e soprattutto se parlo di qualcosa che mi sta particolarmente a cuore.
Ed è per questo che mi sarebbe piaciuto assistere a un intervento maggiormente rispettoso della memoria e della materia custodita in quelle pietre. E per questo urlo il mio sconcerto e denuncio che è stata persa l’occasione di restituire alle Torelle una nuova vita, rispettosa della memoria ma contemporaneamente proiettata al futuro.
Infatti, conservare non vuol dire imbalsamare, non vuol dire rinunciare ad utilizzare gli edifici storici, vuol dire portarli nel futuro con una nuova vita, rispettosa del passato.
Ogni singola pietra, ogni centimetro di malta, ogni mattone, ogni nicchia, ogni muro, ogni lastra, alle Torelle, raccontava qualcosa, ci raccontava di un popolo in bilico tra la cultura pagana e quella cristiana, ci raccontava di una storia che partiva dai romani, o forse prima, e ci conduceva al secolo scorso, ci raccontava della grandezza di questo territorio e della sapienza costruttiva dei suoi architetti e dei suoi maestri costruttori. Avrebbe potuto continuare a raccontarcelo, ma non è così.
Tutto ciò non ci sarà più raccontato, solo perché si è deciso di percorrere la strada di un restauro poco rispettoso delle preesistenze e rivolto solo alla convenienza del momento.
Sono pronta a confrontarmi con chiunque voglia interrogarsi sull’accaduto o rispondere alle mie domande, a cui da mesi cerco di dare una risposta di senso compiuto. Non si può lasciar correre. Non si può aspettare che la convenienza del momento di attingere a fondi pubblici continui a cancellare la storia di un popolo e di un territorio.
Bisogna raccontare quello che è successo alle Torelle per evitare che continui ad essere questo il metro utilizzato, per evitare che altri pezzi di storia vengano cancellati e per evitare che i nostri figli si ritrovino in un luogo in cui la memoria non abbia testimoni.

domenica 6 marzo 2011

A "quota mille" c'è un Matese autentico


“Quota mille” è l’appropriatissimo titolo di un libro pubblicato alcuni mesi fa, dalla casa editrice Punctum, con fotografie del fotografo Francesco Fossa, e scritti di Paolo Rumiz.
I meravigliosi scatti hanno per oggetto il Matese.
“Quota mille” è un libro di fotografie, che con pochissime, misurate e calzanti parole di Paolo Rumiz, riesce a descrivere in una maniera sorprendente il paesaggio, ma soprattutto la gente del Matese.
Il Matese raccontato dal fotografo è autentico, senza giri di parole, senza costruzioni scenografiche allo scopo di impressionare l’osservatore. E’ puro, come pura è l’aria che si respira attraversandolo, e che a fatica ci consente di collocarlo in Campania, a meno di 100 chilometri da Napoli e dal veleno che la affligge.
Le immagini raccontano il paesaggio, ancora per certi versi incontaminato, con scatti che ne sottolineano le asperità, le peculiarità, i colori, i suoni, la materia di cui è fatto. Ma la maggior parte delle immagini raccontano di un popolo, unico perché plasmato dalla propria terra e con questa in simbiosi. Raccontano i gesti quotidiani della gente del posto.
Nelle fotografie di Fossa ci sono, infatti, i pastori, i pochi sopravvissuti all’evoluzione dei mestieri e alle difficoltà di un lavoro prezioso ma logorante; ci sono gli agricoltori. Non è un caso, a mio avviso, che non ci siano ragazzi. Perché il “volto” del Matese è vecchio e rugoso, è ruvido e schivo, ma avvolgente, come le grotte, le valli, gli orridi, gli anfratti, i torrenti, i percorsi che lo caratterizzano.
Nelle immagini ci sono i sapori della tradizione.
Lo stesso fotografo, a conclusione del testo, ringrazia questo popolo che gli ha aperto le porte per essere raccontato: il matesino è schivo per natura, ma orgoglioso e fiero. E il fotografo è in grado di raccontarcelo.
L’autenticità degli scatti, seppur sapientemente ed evidentemente rielaborati al computer, per ottenere effetti di maggior eloquenza e impatto, è sorprendente.
E’ così autentica la fotografia di Francesco Fossa che porta Rumiz a parlare di neo-realismo. E come non essere d’accordo.

Francesco Fossa, “Quota Mille”, (con testo di Paolo Rumiz), Edizioni Punctum, Roma, 2010, 96 pag., ISBN 978-88-95410-26-5