lunedì 27 giugno 2011

Bagnoli: dal bianco e nero ai colori


L’immagine in bianco e nero qui sopra è stata scattata il 26 Agosto 1956 e i felicissimi sposi ritratti sono i miei nonni materni, Assunta Sarnataro e Antonio Stanzione.
L’immagine che si scorge alle loro spalle, stagliandosi in maniera inconfondibile è il panorama del promontorio di Nisida, e, sulla destra dell’immagine, il sito dell’ex Italsider a Bagnoli, Napoli, in fervente attività.
I primi insediamenti industriali dell’area risalgono addirittura alla metà dell’Ottocento, con la fondazione degli stabilimenti di Lefevre e della vetreria Melchiorre Bournique.
Nei primi decenni del Novecento si insediano nell’area anche i principali marchi che producono acciai, la cui richiesta vede un incremento notevole in occasione dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Nel corso dei decenni successivi si assiste ad una crescita smisurata degli insediamenti industriali nell’area, che coinvolgono un’intera zona della città, compresa la realizzazione degli edifici per le funzioni annesse, come le residenze per gli operai impiegati nelle fabbriche.
Nel 1964 le vecchie acciaierie presenti sul sito modificano il loro nome in Italsider Spa. E questo nome segna poi la storia futura, compresa quella più recente, dell’area, oltre che le vite delle migliaia di operai coinvolti nella storia e nel triste epilogo dell’azienda.
Il periodo a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90 vede infatti la cessazione di tutte le attività produttive delle aziende presenti sull’area e comincia una prima fase di abbandono che per certi versi prosegue ancora oggi.
Per esaminare tutte le tappe della storia del sito e delle fabbriche insediate si raccomanda di visitare la pagina Bagnoli Futura, e in giro per la rete sono presenti numerosi altri siti che analizzano questi aspetti.
La storia di Bagnoli si inserisce in un fenomeno ben più ampio che ha rilevanza nazionale e internazionale, che parte con l’abbandono e la dismissione delle più grandi aree industriali sorte a partire dalla fine dell’Ottocento e sviluppatesi per tutto il Novecento, e si conclude nei casi più felici con il loro recupero.
In Italia, i casi di conclusione felice del recupero di aree industriali dismesse sono davvero pochi, e la maggior parte degli urbanisti annovera tra questi il caso del quartiere della Bicocca a Milano, considerato dall’insigne urbanista, Leonardo Benevolo, come l’unico successo nello scenario della pratica del recupero delle aree industriali dismesse. Questo fenomeno è a suo dire gravemente condizionato da processi di valorizzazione speculativa che spesso lasciano pochissimi margini alle singole scelte progettuali. L’architettura diventa un ornamento secondario, anche quando si mobilitano i grandi nomi. A volte, purtroppo si ha la sensazione che queste parti di territorio comunale diventino il cardine di un affare edilizio che neghi la strategia urbana motivata da una necessità sociale e di organizzazione coerente dello spazio urbano.
Per qualche decennio nelle sedi politiche campane, e napoletane in particolare, si è continuamente discusso di recupero dell'area di Bagnoli con un occhio privilegiato al problema occupazionale vagheggiando un nuovo ciclo economico attorno a progetti turistici, immobiliari e talora volgarmente speculativi . I politici di turno ad ogni elezione sparavano proposte sempre "molto originali": un porticciolo turistico, un casinò, una grande area alberghiera etc... Tuttavia e per fortuna i molti nodi da sciogliere, le incertezze politiche, la poca chiarezza di prospettive hanno sempre frenato una progettualità concreta sul problema della bonifica. Poi il progetto di recupero ambientale dell'area di Bagnoli – Coroglio è arrivato.
Il caso partenopeo è per certi versi paragonabile a quello milanese della Bicocca, sia per quel che riguarda la dimensione fisica che per il tessuto culturale che guida l’operazione, ma le vicende che lo riguardano sono più complesse, quasi sicuramente a causa dell’assenza di un unico attore privato che segua lo sviluppo della vicenda, come è invece accaduto con la Pirelli a Milano.
Il processo di recupero dell’area di Bagnoli non si può dire ancora concluso e per molti aspetti è in grave ritardo rispetto alle aspettative.
La speranza è che rispetto all’occasione rappresentata dalle circostanze il tutto non si concluda con un “nulla di fatto” per le persone che ormai da decenni aspettano di vedere conclusa positivamente la vicenda.
Non resta che aspettare che un pezzo di città venga definitivamente e completamente restituito ai napoletani!

venerdì 10 giugno 2011

Tutti i colori dell'Isola di Arturo


Esiste un Mediterraneo autentico, spavaldo e timido al tempo stesso, ignaro del resto del mondo. Si annida nel borgo dei pescatori della Corricella, nelle trame delle reti da pesca, negli alveoli della sua pietra vulcanica, nella sabbia delle spiagge, nei vicoli e nelle scalinate che precipitano verso il mare, nella vegetazione rigogliosa, nelle facciate consunte, nelle tinte sbiadite, nei volti arsi dal sole, nel dialetto che è poesia cantata.

Si scopre questo Mediterraneo percorrendo in lungo e in largo l’Isola di Procida. E’ un Mediterraneo dal sapore contaminato, con sfumature di aromi lontani, di altre terre visitate in passato, sapori africani, napoletani, genovesi, portoghesi …
Si approda sull’isola provenendo da Napoli e ad attendere al porto c’è una colorata accoglienza che mette allegria anche nelle giornate più grigie.

"Un allineamento di case alte, di tutti i colori, strette come una barricata con tante arcate chiuse a mezzo, come strizzassero un occhio. E sopra un verde intenso prepotente, quasi selvaggio, tanta è la forza dei tralci: viti e limoni. Questa prima immagine di Procida si estende a tutta l’isola che è piccola, ma tutta diramata in tentacoli, come i polpi che ancora abbondano nei suoi mari" (Cesare Brandi).

Bisogna visitare Procida per conoscere una Campania sana, che ha voglia di fare e di farsi conoscere, lontana dai riflettori mal attratti che puzzano di marcio sempre puntati su Napoli e da quelli chic di Capri o di Ischia.

Bisogna vedere questo posto per capire che la Campania ce la può fare, mettendocela tutta.

giovedì 2 giugno 2011

Salviamo l'Architettura Italiana del secondo Novecento


Il Decreto Legge n. 70 del 13 maggio 2011 dal titolo "Prime disposizioni urgenti per l'economia" inserisce delle modifiche sostanziali al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che hanno come conseguenza più allarmante quella di escludere dalla tutela tantissimi preziosi esempi dell'architettura italiana del secondo Novecento, innalzando il limite temporale per la tutela dagli attuali 50 anni a 70.

Invito tutti a firmare la petizione per fermare questo scellerato provvedimento e restituire alla giusta tutela questi preziosi edifici.

E' possibile firmare la petizione, che sarà inviata direttamente al ministro Galan per impedire che il decreto legge venga definitivamente convertito e inizi a produrre i propri scellerati frutti.

Nel testo della petizione è contenuto un estratto significativo di tutti gli edifici che il decreto escluderebbe dalla tutela. E' allarmante!

Firmate, firmate, firmate! C'è tempo fino al 12 giugno.

Ecco il link.

Ringrazio l'Arch. Elena Rizzi per avermi segnalato la notizia e per la diffusione della petizione che sta operando.