mercoledì 10 agosto 2011

Alta Irpinia toccata e fuga


In Campania c'è una terra che ha molto da raccontare: c'è un'Irpinia che non ti aspetti e una che preferiresti non trovare. Questo mio racconto attraverso l'Irpinia parte dal casello autostradale di Lacedonia e si inerpica attraverso il paesaggio costellato di pale eoliche. Questa è l'Irpinia che non avevo messo in conto, e che stupisce positivamente e fa riflettere circa i dibattiti sempre accesi, soprattutto nei salotti delle soprintendenze italiane, sull'impatto delle energie alternative sul nostro paesaggio agrario. La quantità di pale è sorprendente e ci comunica, qualora non ce ne fossimo già accorti, che in questo posto è il vento a farla da padrone. Inutile provare a resistergli: le nostre teste sono già scapigliate e gli steli dell'erba dorata sono lì a frusciare per noi!
Le pale, questi “mostri” giganteschi, con le loro ombre laconiche che si stagliano sulla terra, sono dei metafisici uccelli preistorici che ci accompagnano fino ai borghi più sperduti, che abbiamo deciso di visitare. Siamo diretti a Monteverde, e sono le 10:00 del mattino, ma prima di incontrare una sola macchina dobbiamo percorrere almeno 20 chilometri. Non ci dispiace, ci fa sentire dei privilegiati. Il paesaggio è di una bellezza mozzafiato: è disegnato dai campi dorati e dal vento.
Dopo una breve sosta a Monteverde ci dirigiamo verso Aquilonia, e a sorprenderci lungo il percorso che conduce al Lago San Pietro è il borgo abbandonato di Carbonara.
Il terremoto del 1930 ha costretto le persone a scappare, a cercare un nuovo posto in cui (ri)fondare la propria esistenza, non lontano, ma comunque altrove, partendo da zero.
Alcuni dei vecchi edifici del borgo antico sono stati restaurati e il sito è liberamente visitabile: e noi non ci tiriamo indietro.
Dopo questa breve puntata tra stipiti divelti, solai crollati, portali lasciati in piedi a mo' di quinta teatrale, sul paesaggio intorno, ci dirigiamo verso Sant'Angelo dei Lombardi: non possiamo rinunciare ad una visita all'Abbazia del Goleto, tra i siti architettonici di maggiore interesse di tutto il meridione d'Italia.
Infine, si è svelata ai nostri occhi l'Irpinia che non avremmo voluto trovare, quella che attribuivamo a racconti datati, quella che speravamo fosse solo un brutto ricordo. La visita dell'area archeologica dell'antico abitato di Conza della Campania non è possibile: il sito è chiuso, non “per ferie” e neanche per chiusura settimanale. Lo è perché in Irpinia il turismo è ancora diroccato, come quelle case abbandonate in tutta fretta e lasciate ancora lì così.
Non sono bastati 30 anni a cancellare il dolore, il disastro, le macerie, i crolli. Le persone hanno trasferito non molto lontano le loro vite, in nuove case, più confortevoli di quelle che avevano: ma il cadavere di quelle precedenti giace ancora lì sul colle che le sovrasta!

martedì 2 agosto 2011

La Grotta di San Michele Arcangelo a Gioia Sannitica


A Gioia Sannitica, in località Curti, a quota 450 m s.l.m. è presente una piccola chiesa rupestre d'epoca longobarda dedicata al culto di San Michele Arcangelo. L'area, più che una vera e propria grotta, è quasi un riparo sotto la roccia, in cui con la realizzazione di costruzioni murarie si è ricavata una zona pianeggiante ove sono localizzate un’edicola affrescata, un altare e dei gradini di accesso alla vera e propria cavità naturale, protetta a sua volta da un muro affrescato e da una porta in legno. In seguito ad un restauro condotto negli anni scorsi, che ha reso fruibile l’ambiente e leggibili alcuni affreschi che erano coperti da stucchi ridipinti, attualmente la grotta si presenta in discreto stato di conservazione.
All’ingresso l’attenzione è attirata dalle immagini che ricoprono completamente la parete in alto. Le figure sono contornate da una cornice. La raffigurazione è interrotta da alcune lacune e dalla porta d’ingresso alla cavità vera e propria, che è incorniciata con una fascia rossa.
Lo sfondo in basso è realizzato con una fascia gialla, su cui si ha un’area azzurra alta quanto un terzo delle figure, che sono a grandezza reale (alte circa 1,70 m), e quindi con un’ampia fascia nerastra in alto. Due motivi geometrici chiudono la raffigurazione in alto a sinistra e in basso a destra.
Al centro della scena è dipinta la Madonna, con le braccia alzate verso il cielo, in atteggiamento tipico da orante. Il volto si caratterizza per gli occhi rotondi, grandi, con sopracciglia in bruno, che scendono a delineare il naso, e per i pomelli rossi delle guance. A destra della Madonna Orante è posizionato l’Arcangelo. Presenta le ali gialle, e i vestiti giallo e azzurro, le ali sono coperte da un mantello blu e sono gemmate in basso. Le mani sono protese in avanti all’altezza del torace, e lo sguardo è rivolto alla Madonna.
A sinistra della Madonna è presente un santo che occupa tutto lo spazio restante fino alla roccia. Nell’aureola rossastra spicca il volto, caratterizzato dai pomelli e dalle rughe sulla fronte in rosso, e dalle sopracciglia nere, che si prolungano in basso ad evidenziare il naso prominente. Il santo indossa una tunica giallina, con panneggio evidenziato in azzurro, coperta da una casula rossa con drappeggio in nero e bianco.
Al di sopra della porta, larga circa 85 cm, è presente una lunetta, delimitata da una cornice che ricopre quella più antica, in cui è raffigurata la Madonna con Bambino e due Angeli. Sullo sfondo si apprezzano motivi fitoformi in blu.
Il muro lungo circa 3 metri è realizzato in conci di tufo grigio – nerastro nei pressi della porta, a formare gli stipiti, e in bozze di tufo e scapoli di calcare legati con malta dura, grigiastra con piccoli inclusi calcarei.
L’edicola votiva è quasi emisferica, e misura circa 1,70 m per 1,80 per 1,00 e si colloca a destra dell’ingresso del recinto sacro. Gli affreschi dell’edicola sono stati di recente restaurati e messi in evidenza, togliendo parte degli intonaci che li ricoprivano. La cappella votiva di fronte all’ingresso presenta una tipica copertura a capanna, costituita da un manto di coppi sovrapposti.
Il pavimento è in pianelle quadrate di cotto di dimensione 30x30 cm, delle quali è però difficile ipotizzare l’epoca di posa in opera. Le immagini della grotta di Curti potrebbero essere dovute a due mani differenti, di cui una capace di una maggiore intensità cromatica.
Le immagini della lunetta sono chiaramente successive, mentre tutte le altre si rifanno sicuramente ad una tradizione bizantina, che trova riferimenti in affreschi della fine dell’XI e XII secolo, in area campano – laziale. Si tratterebbe quindi di opere di buon livello da inserire tra la metà e la fine del XII secolo. Le iscrizioni dedicatorie sono generiche e non aiutano alla datazione. Sono comunque un esempio di cicli pittorici molto frequenti nell’area del Medio Volturno.
L’ultimo intervento di restauro è stato realizzato nel periodo 2000 – 2001, su progetto dell’Arch. Enrico D’Anna e ad opera della restauratrice Clotilde Palombo. La grotta è aperta e visitabile tutto l’anno. E’ possibile raggiungerla solo a piedi e purtroppo non è accessibile ai diversamente abili.




Bibliografia:

In “Annuario 2003”, Associazione Storica del Medio Volturno, Edizioni ASMV, Piedimonte Matese 2003, “Nota sugli affreschi medievali della Grotta di San Michele a Curti”, di Luigi Di Cosmo, pagg. 49 – 62

In “Annuario 1993”, Associazione Storica del Medio Volturno, Edizioni ASMV, Piedimonte Matese 1993, “Le grotte sacre del Medio Volturno”, di Dante B. Marrocco, pagg. 187 – 218

Inoltre è presente un mio articolo sul sito della Proloco di San Gregorio Matese sul tema del Culto di San Michele Arcangelo nel territorio del Parco Regionale del Matese. Ecco il link!