martedì 26 aprile 2011

Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Nanni


E’ uscito ormai da 2 weekend nelle sale italiane l’ultimo lavoro di Nanni Moretti, e, senza troppa sorpresa, sta registrando un enorme successo ai botteghini.
Il titolo di questo post fa eco alla bellissima (finalmente) copertina dell’Espresso di qualche mese fa, di cui compare un ritaglio nella foto in alto, che ha avuto solo il difetto di avere troppa fretta di uscire (a febbraio, con due mesi di anticipo rispetto all’uscita della pellicola nelle sale).
“Habemus Papam”, lo dico subito, per fugare ogni dubbio, è il miglior cinema italiano degli ultimi anni, ed è, per fortuna, il solito Moretti.
Non è un film contro la Chiesa, e lo dimostra, se ce ne fosse bisogno, la pubblicità favorevole condotta per il film dal settimanale cattolico “Famiglia Cristiana”, che in un articolo suggerisce caldamente di andare a vederlo. E’ piuttosto, paradossalmente, un film “pro”. Potrebbe fornire, infatti, un prezioso spunto di riflessione per la Chiesa e la società civile. Ma sarà come al solito, nella nostra storia recente, un’altra occasione perduta!
A differenza di altri apprezzabili e noti registi italiani, Moretti si fa sempre attendere. Trascorrono sempre alcuni anni tra i suoi lavori, e quando questi arrivano, seppur in gestazione da anni, riescono sempre ad essere di un’attualità e una contingenza sorprendenti.
E’ attualissima, infatti, questa pellicola sulla crisi esistenziale di un uomo e di un’istituzione, almeno quanto lo era stato “Il Caimano” nel 2006.
E’ come se il genio di Moretti avesse un’intuizione inspiegabilmente anticipata nel tempo e riuscisse a svilupparla giusto in tempo per consegnarla al pubblico nel momento culminante dello svolgimento dell’evento o della storia raccontata.
E’ geniale questo papa morettiano, interpretato da Michel Piccoli, che aggiunge, qualora ce ne fosse stato bisogno, una forza e una straordinarietà ancora maggiori al film. E’ un uomo tormentato da una profonda crisi esistenziale che non si può che condividere e analizzare.
E’ divertente e surreale la narrazione, come lo era stata quella di altri film morettiani, ma non sento di poter sostenere il paragone con “La messa è finita”, che è stato da più fronti caldeggiato. E’ un film diverso, che racconta di oggi, e che non può avere molto in comune con quello che aveva ispirato l’altra geniale pellicola del regista. Ma è anche una pellicola un po’ rassegnata, soprattutto nel finale, che è certamente inatteso, quanto surreale.
E’ davvero il solito Moretti, quindi, e lo è anche perché non delude mai le lunghe attese a cui purtroppo ci ha abituato. Il cinema italiano avrebbe bisogno di più lavori come questo.
Dove si inseriscono allora le calde e sentite polemiche di quella parte che al film e a Moretti si oppone? Non si giustificano a mio avviso, e perdono l’occasione di un confronto che invece potrebbe consentire di affrontare con maggiore consapevolezza la crisi che è sotto gli occhi di tutti.
Il polverone che ha suscitato non si giustifica, se fine a se stesso perché ancora una volta è come se Moretti potesse essere usato per accogliere tutte le critiche che gli organi preposti non sono in grado di muovere contro queste nostre morte istituzioni in decomposizione. E’ come se, questo Moretti, che dice esattamente quello che tutti vorremmo dire, ci desse quasi fastidio, perché non siamo noi a dirlo.

sabato 9 aprile 2011

Ecco perché abbiamo il dovere di occuparci del Paesaggio


Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. Lgs. 42/2004 e succ. mod.) dà mandato, in conseguenza di molte altre iniziative culturali e legislative, agli architetti specializzati in Conservazione dei Beni Architettonici e del Paesaggio di occuparsi anche della tutela del paesaggio in quanto bene culturale. Questa premessa estremamente semplicistica è necessaria a comprendere quanto segue, ovvero la mia tesi sull’entropia del sistema paesaggio.
La grandezza fisica dell’entropia viene interpretata come una misura del disordine di un sistema fisico o più in generale dell'universo. L’entropia aumenta perché la natura tende verso “stadi” più probabili. L’entropia non misura il disordine ma il numero di possibilità che il sistema ha di disporsi al suo interno.
Il concetto di entropia è strettamente connesso al Secondo Principio della Termodinamica, che tiene conto del carattere di irreversibilità di molti eventi termodinamici.
Se pensiamo al paesaggio come a un linguaggio, a una forma di comunicazione che ha una sua logica e una sua struttura, esso è quindi un sistema. Un sistema è genericamente un insieme di entità connesse tra loro tramite reciproche relazioni visibili o definite dal suo osservatore.
La caratteristica di un sistema può essere l'equilibrio complessivo che si crea fra le singole parti che lo costituiscono. Ogni disciplina ha i suoi propri sistemi, sia a scopo funzionale, che a scopo strutturale/organizzativo, o con intenti di classificazione e ordinamento.
L’analisi sistemica nello studio del paesaggio, così come sostenuto di recente da alcuni esperti della materia , consente di individuare gli elementi del paesaggio, di trovare e verificare le relazioni che esistono tra gli stessi.
Inoltre, lo scopo di un approccio sistemico allo studio del paesaggio è anche quello di condurre un’analisi non solo qualitativa ma anche quantitativa che tenti di minimizzare la componente soggettiva nel momento dell’analisi.
Ma cosa si può definire paesaggio? Ci sono luoghi in cui l’uomo non sembra essere mai andato, luoghi in cui l’uomo non è effettivamente mai stato, e poi ci sono luoghi plasmati dalla presenza dell’uomo. Questi luoghi sono tutti paesaggio?
E’ molto complicato definire il termine, ma per semplicità e affinità di interpretazione mi piace ricordare la definizione che ne fa la “Convenzione Europea del Paesaggio”, in cui si legge: "Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.
Il documento parte dal presupposto di una visione dinamica dell’idea di paesaggio di cui sono portatrici le popolazioni che lo vivono. Il paesaggio è sempre in trasformazione: la popolazione ha una sua visione consolidata e gli strumenti di pianificazione forniscono il quadro conoscitivo di partenza. Gli abitanti nel tempo elaborano immagini, rappresentazioni sempre più elaborate del paesaggio, hanno una visione non statica del paesaggio che si trasforma; cambia l’idea del paesaggio nelle popolazioni che lo vivono.
Quindi, certamente al nostro scopo è rilevante il contributo della popolazione alla definizione del paesaggio e l’importanza delle interrelazioni tra fattori naturali e fattori umani.
Esistono diversi approcci e diverse letture del paesaggio: il criterio vedutistico, il criterio strutturale e il criterio simbolico. E in questo contesto privilegiamo un approccio strutturale per la conoscenza del paesaggio.
Una volta definiti i termini della questione, possiamo così sintetizzare l'entropia del Sistema Paesaggio: tanta più energia si trasforma in uno stato indisponibile, tanta più sarà sottratta alle generazioni future e tanto più disordine proporzionale sarà riversato sull'ambiente.
Un passaggio successivo di questo tipo di approccio al paesaggio può essere quello che lo assimila alla struttura della mente, o meglio agli aspetti mentali dell’organismo in relazione al loro rapporto con la natura. Gregory Bateson, in “Mente e natura” si chiede “Quale struttura connette il granchio con l'aragosta, l'orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l'ameba da una parte e con lo schizofrenico dall'altra?”.
Egli giunge a costruire un quadro di come il mondo vivente è collegato, cioè di come avviene l’interazione fra quei sistemi circolari complessi che caratterizzano gli organismi, i loro scambi e la loro organizzazione interna: le ‘totalità’ sono costituite appunto da questa interazione combinata. A tale interazione combinata nei sistemi complessi Bateson dà nome di Mente, essa è funzione immanente alla differenziazione fra le “parti”. Vale a dire che nessun individuo, evento, comportamento o pensiero può essere compreso se non a partire dal sistema che lo ha generato e dai sistemi più ampi che lo contengono e con i quali interagisce. La totalità della Creatura (l’ecologia planetaria) e ciascuna delle sue componenti (organismo individuale, sistemi interattivi, ecosistemi, etc.) sono dotati di processi mentali.
Bateson afferma che l’unità fondamentale dell’evoluzione non è l’organismo o la specie, ma l’organismo + l’ambiente (cioè, il sistema mente). C’e quindi una connessione profonda fra pensiero e biosfera, mente e natura.
L’idea che egli sviluppa è che mentre il mondo fisico ripete meccanicamente nessi lineari di tipo causa-effetto, l’evoluzione e il pensiero siano simili in quanto partecipano ai processi circolari di apertura al nuovo e di ricombinazione continua con elementi conservativi. Ovvero, vi è un flusso di eventi per certi aspetti casuale e un processo selettivo non casuale che fa sì che alcune delle componenti casuali sopravvivano più a lungo di altre. Senza il casuale, non possono esservi cose nuove. Il processo creativo deve sempre contenere una componente casuale che apre al nuovo ed una componente “conservativa” che lo incorpora. Per Bateson, Mente e Natura sono dunque due grandi sistemi che in parte interagiscono in parte sono autonomi: un sistema è dentro l’individuo ed è detto apprendimento, l’altro è immanente nell’ereditarietà e nelle popolazioni ed è chiamato evoluzione: pur lavorando a diversi livelli di tipo logico, si combinano a fare un'unica biosfera dinamica, che potrebbe coincidere con la nostra idea di paesaggio, così come abbiamo tentato di definirla finora, e a partire dagli spunti della Convenzione Europea.
Da ultimo ciò che con Bateson cerchiamo di afferrare è un’interconnessione, un’interazione fra passaggi, la metastruttura, la struttura che connette. In altre parole come si possono ricombinare i due sistemi in cui egli ha diviso tanto l’evoluzione quanto il processo mentale ai fini dell’analisi? Come passare dal singolo fenomeno creaturale alla totalità delle interconnessioni interne ed esterne? Bateson si richiama alla gerarchia dei tipi logici di Bertrand Russell: le componenti di una gerarchia russelliana stanno fra di loro come un elemento sta ad una classe, una classe ad una classe di classi o una cosa sta al proprio nome. Attraverso questa scala si può pensare alla struttura che connette, poiché essa è una metastruttura, una struttura di strutture. Egli sollecita a pensare struttura non come a qualcosa di statico, ma come un sistema dinamico di parti interagenti (il nostro paesaggio?).
Questo vale per Bateson come paradigma non solo della percezione, ma anche della conoscenza, del mondo sociale e della stessa evoluzione.
E’ questa che lui definisce struttura “danzante” che connette sia il sistema mente che quello natura, sia il sistema mente e natura.
Inoltre, la posizione espressa da Bateson è proiettata verso la costruzione di una prospettiva ecologica: recuperando quel senso di unità di biosfera ed umanità che ci legherebbe e ci rassicurerebbe tutti con un’affermazione di bellezza, l’umanità potrebbe salvaguardare il suo ambiente e se stessa dalla catastrofe.
In conclusione, l’aver ipotizzato che il paesaggio può essere interpretato come un sistema di elementi in relazione tra loro e connessi da strutture fisiche oltre che mentali, ci consente di indagarlo con gli strumenti della scienza sistemica e di sviscerarne gli elementi e le relazioni che lo regolano.
Inoltre, l’aver considerato questo sistema paesaggio come sottoposto ai principi della termodinamica e quindi anche dell’irreversibilità ci impone di osservarlo e “prenderci cura” di esso con un approccio che potremmo banalmente definire “ecologico”, dove con ecologia intendiamo però la razionalità ecologica, ovvero il raggiungimento di un’idea sintetica dotata di creatività e razionalità che consente di attuare il salto dal momento stocastico a quello della consapevolezza e della certezza.